La colonizzazione della Sicilia nell’epoca pregreca e in quella greca rappresentano senz’altro gli avvenimenti più rilevanti dell’antica storia dell’isola perché determinò l’incontro della civiltà indigena con la prellenica e poi con la ellenica. La notizia sulle idonee condizioni di abitabilità dell’isola indussero altri greci a spostarsi in Sicilia. Il primo gruppo di colonizzatori elleni è costituito da Dori, Ioni e Megaresi che giunsero a riva sulle coste orientali dell’isola, alla foce dell’odierna Alcantara, ove fondarono Naxos.
La Sicilia del V secolo è “il granaio di Roma”, per l’invio nel 491 a.C. di un primo carico di grano a Roma spedito da Gelone; è l’isola che vede gli indigeni siculi opporsi alla eccessiva prepotenza dei colonizzatori greci, cercando senza alcun effetto di arrestarne l’invadenza: il loro capo è il principe siculo Ducenzio di Nea che nel 459 a.C. conquista Morgantina fondando Menainon e pone la sua capitale a Palikè presso il rinomato santuario delle divinità sicule dette “Fratelli Palici” dal duplice laghetto paravulcanico, eruttante anidride carbonica, che oggi si nomina “Nafta”.
La Sicilia del dominio romano è la Sicilia del generale regresso, depauperata e privata di quasi tutte le ricchezze, ma è principalmente il periodo in cui i Romani spezzarono il sereno equilibrio con cui i Greci avevano configurato la vita nell’isola; quindi il periodo in cui venne anche meno quella corrispondenza con l’ambiente naturale che la saggezza greca aveva rispettato: i Romani favorirono il latifondo, facendo lavorare la campagna dagli schiavi, l’isola allora divenne realmente “il granaio di Roma” ed ebbe inizio la distruzione del patrimonio forestale che provocò l’inaridimento di molte zone.
Questa è la Sicilia in cui ebbe origine, per i Siciliani, il passaggio da ottimistiche e libere forme di vita al duro stato di sudditi, ma è anche la Sicilia del Cristianesimo. Nei territori cristianizzati dalla evangelizzazione, dovuta alla presenza di numerosi eremiti taumaturghi, si legano religioni diverse, perché diversi erano stati i popoli che avevano fatto dell’isola un luogo di incontri.
Agli Arabi la sicilia deve molto, per l’incremento edilizio, accompagnato a quello demografico, per aver reso più consistente la produzione agricola e per l’impianto di nuove colture, l’ampliamento boschivo e lo sviluppo dato alla pastorizia. Riteniamo che basti a tal proposito ricordare la produzione cerealicola, affluita nei porti frumentari, dell’olio e di altre mercanzie negli empori.
Anche in epoca normanna nei caricatori si raccolsero grandi quantità di grano provenienti da più centri isolani e sotto questa denominazione, soprattutto nel XII secolo, si elaborò un’architettura piuttosto singolare e straordinaria nelle forme (quella a cubo, compatto e chiuso, sormontato da cupolette) e nella molteplicità degli elementi decorativi: mosaici bizantini, motivi islamici, sculture catalano-provenzali. L’architettura del periodo che segue è invece sostanzialmente di tipo difensivo: castelli, roccaforti e fortezze.
Passata la Sicilia nelle mani dei re Pietro III, questi la ripartì in sette valli o province di varia estenzione, ma fù re Federico II d’Aragona e III di Sicilia che divise l’isola in quattro valli: di Mazara, di Agrigento, di Noto e di Castrogiovanni. Con il Vespro ebbe inizio il periodo della Guerra dei Novant’anni (1282-1372) scandito da tre paci: quella di Caltabellotta, che segnò la separazione della Sicilia da Sicilia; quella di Catania del 1347, che fù interlocutoria; quella di Avignone del 1372 che fù risolutiva.
Il secolo XIV si concluse tristemente per la lunga guerra civile, scatenatasi tra il Governo dei quattro Vicari (i potenti magnifici Alagona, Peralta, Chiaramonte e Ventimiglia, che governavano in nome di Maria d’Aragona) e gli altri influenti nobili siciliani estromessi dal potere. Gli aragonesi ebbero interesse solo per la loro terra e assai poco per la Sicilia e i Siciliani. La situazione mutò nel 1392, quando venne re nell’isola Martino I. Regnò fino al 1409. Gli successe poi Martino II.
La Sicilia del Quattrocento presenta una straordinaria figura di artista: il pittore Antonello da Messina. Tra i pittori siciliani vanno ricordati anche i palermitani Tommaso di Vigilia, Antonello Crescenzio e Pietro Ruzzolone; i messinesi Antonello de Saliba e Antonio Giuffrè ed il saccense Riccardo Quartararo, ritenuto dal Di Marzo l’autore del grande affresco di Palazzo Sclafani raffigurante il Trionfo della Morte, oggi nel Museo Regionale di Palermo. Con particolare riguardo vanno citati i pittori di Sciacca Mariano Rossi e Tommaso, figlio di Mariano. Tra gli architetti va ricordato il netino Matteo Carnilivali.
Il secolo che segui fu segnato da lotte intestine: durevoli e cruenta l’inimicizia fra i Biscari e i Maletti; Catania era spartita tra i Gurrera e i Paternò; Trapani tra i Sanclemente e i Fardella; Girgenti tra i Naselli e i Montaperto; Noto tra i Landolina di “sussu et jusu”; Caltagirone tra i Bonanno e i Gravina; Sciacca tra i Perollo e i Luna. Nel Seicento la Sicilia fu provata dalle epidemie di peste, dalle carestie, dalle incursioni dei pirati, ma anche dai terremoti: degno di nota rimane quello dell’11 gennaio 1693 che devastò molti paesi della zona orientale dell’isola.
Nel 1713 venne meno il dominio spagnolo; ma nei primi quarant’anni del secolo la Sicilia ritornò sotto altre tre dominazioni: la sabauda, l’austriaca e la borbonica. L’ultima durò dal 1734 fino al 1860. La politica dei nuovi governanti si rivelò presto deludente per i siciliani che furono costretti sotto quel regime a pagare più tasse e soggetti alla coscrizione, fenomeno classificato subito come banditismo.
La deforestazione intanto e l’abbandono di alcune colture in favore delle colture cerealicole causarono rovinose conseguenze ai territori: alcuni di essi ne risentono tuttora i tristi effetti.
Negli ultimi decenni i vigneti e gli aranceti hanno modificato l’antico ambiente naturale, dandovi un nuovo carattere. Si tratta perlopiù di una trasformazione del paesaggio sotto il profilo coloristico, e non nella nicchia ecologica, e per questa ragione oggi diverse aree rurali godono del vincolo faunistico e paesaggistico.